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Firenze ferita
Lo sfollamento a Palazzo Pitti
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L’ordinanza tedesca del 29 luglio impose ai fiorentini che abitavano nei pressi dell’Arno di abbandonare le loro abitazioni, così Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli iniziarono ad accogliere molti sfollati. In un primo momento vi trovarono rifugio numerosi artisti e letterati, tra cui la scrittrice Anna Banti e l’architetto Nello Baroni, il quale, oltre a documentare con fotografie la vita all’interno del rifugio, descrisse quei tragici giorni nel “Diario dei Cinquemila”. Nel giro di pochissime ore affluì un considerevole numero di cittadini al Palazzo, che ospitò un totale di oltre cinquemila persone. Questo fu lo stesso destino che toccò anche alla giovane Paola Barocchi, costretta ad abbandonare la sua abitazione in via de’ Coverelli, a due passi dal Ponte Santa Trinita. La reggia medicea diventò un vero e proprio accampamento, le cui condizioni divenirono sempre più allarmanti a causa del sovraffollamento. Il 31 luglio la città venne divisa in due parti a seguito del divieto tassativo di attraversare i ponti. Nonostante la restrizione, Piero Fossi, papà di Maria, preoccupato per la sua casa a San Giorgio, oltrepassò l’Arno. Questo comportò la separazione dalla sua famiglia e trovò anch’egli rifugio presso Palazzo Pitti. Nella tragica notte del 3 agosto Palazzo Pitti tremò, le sue finestre scoppiarono e il grande frastuono spaventò le migliaia di persone rifugiate al suo interno. Da quel momento il destino delle due zone della città fu diverso: la mattina del 4 agosto gli sfollati nel palazzo mediceo vennero liberati dagli alleati e dai partigiani, mentre la riva destra restò ancora sotto il controllo dei tedeschi fino all’arrivo del CTNL. Maria Fossi rivide suo padre solo 12 agosto e due giorni dopo poté riabbracciare finalmente l’amica Paola.

Foto su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali, Gabinetto fotografico Gallerie fiorentine.

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